Il tempo è un grande scultore, e si può dire che sia anche una buona misura.

Il tempo della politica, nella vita di Annalisa Diaz, è stato un’ottima misura. Ha misurato, infatti, statura e peso di una donna che quella politica ha contribuito tenacemente a costruirla.

L’abbiamo costruita tutte insieme, l’abbiamo fatta circolare, cercando di evitare l’autoreferenzialità delle diverse realtà presenti nel territorio.
L’abbiamo costruita tutte insieme, in un modo o nell’altro, perché la politica di cui parliamo è fatta di pratiche, relazioni, percorsi intellettuali, presenza.

Di tutto questo, Annalisa è stata protagonista straordinaria, c’era e continuerà ad esserci, se è vero come è vero, che ci sono passaggi che lasciano traccia. E se questo pensiero non attenua il nostro dolore nel giorno del lutto, ci dà però la certezza che in una vita ben spesa, c’è sempre una consegna importante. Qui c’è una vera e propria eredità, fatta di testimonianza, grande capacità di pensare, agire, custodire, tramandare. La sintesi di un’idea alta della politica, un’idea che ha accompagnato l’intera e l’intensa vita di Annalisa.

Su di lei ognuno di noi porta, espressi o non espressi, i propri ricordi personali.

Tra i tanti mi piace richiamare come altre volte ho fatto, un ricordo dell’origine, lo cito ancora perché lo considero come una sorta di “scena primaria” della mia entrata nel femminismo.

La prima volta che sentii il suo appassionato e autorevole intervento in una assemblea pubblica. Fui colpita dalla straordinaria forza delle sue parole. Era la forza di un femminismo sorgivo che mutava radicalmente la prospettiva del nostro stare al mondo e ci portava fuori da quel sapere estraneo che pretende di parlare di noi, per noi, senza di noi.

Quel giorno sentii che in quelle parole c’era qualcosa che mi riguardava, che qualcosa sarebbe cambiato per me, che lo dovevo a lei e che non l’avrei dimenticato. Non lo dimentico.

Penso alle molte qualità di Annalisa. La sua generosità priva di enfasi era una risorsa sicura, la sua forza orientava nelle situazioni personali come in quelle politiche. Aveva una grande generosità, e insieme, un forte senso della misura che fermava senza indulgenza qualsiasi esaltazione acritica; non c’era spazio per euforie collettive che sposavano con faciloneria slogan non meditati. Non amava gli slogan come via breve e sostitutiva di quel lavoro di pensiero e di assunzione di responsabilità della parola che sono stati il fondamento della sua soggettività. Noi le dobbiamo molto – la città le deve molto, perché una città non abitata dall’agire e dal pensare delle donne è una città morta.

Alle giovani di questa città, di questa regione, il compito di rilanciare, in forme nuove, verso il futuro le difficili sfide e i desideri del presente. A noi, di custodire con affetto questa bella pagina che è stata la sua vita – una vita che ha reso certamente migliore la nostra.
Ciao Annalisa.

Maria Giovanna Piano